E' evidente...

... che qualcosa non vada se davanti casa, un mese fa, mi hanno divelto la portiera della macchina per rubare 3 euro e se oggi, in pieno giorno, due extracomunitari rapinano uno, sempre davanti casa (la mia).

Post N°250.

Avrò trovato qualcosa da fare?

Boh...

In Memoriam.


Robert Altman
1925 - 2006

Il pianto di Natalie di cui parlavo nel post precedente potrebbe sintetizzare benissimo il momento.

I quasi nove minuti ininterrotti di pianto di Natalie Portman accompagnati in sottofondo dalla versione in ebraico de "La Fiera dell'Est" sono l'inizio di Free Zone ma potrebbero esserne anche la fine visto la capacità di Amos Gitai a raccontare il fulcro della sua storia in un unico pianosequenza.
Tre donne: un'americana, un'israeliana e una palestinese che vive in Giordania riassumono, attraverso il loro viaggio, il passato, il presente e il futuro di una terra che non riesce ad essere libera, ma schiava di un conflitto che come la sequenza finale magistralmemte ci dice continua all'infinito.


Una situazione di guerra perenne è raccontata attraverso tre donne senza mai però vedere il conflitto, solo la vita degli abitanti di quelle terre.
Gitai fa un film che si basa sulla parola. L'inglese, l'ebraico, l'arabo, lo spagnolo sono le lingue che si intrecciano nel film. Sono le lingue parlate in quella terra, sono lingue diverse che inevitabilmente portano all'incomprensione tra le persone. Tutti le parlano un poco ma le parlano male. E la mancanza di una base comune, condivisa, provoca lo scontro. Questo è anche il pensiero di Grossman il quale, in un'intervista, ha dichiarato come lui stia lavorando da mesi per trovare le radici comuni delle parole arabo-ebraiche per fare sì che, finalmente, le persone, soprattutto i negoziatori di pace, abbiano un lessico condiviso che gli accomuni e non li divida.
Free Zone fa intravedere questa possibilità di dialogo, in una scena dove la musica, un linguaggio codificato, uguale per chiunque, comune, si sostituisce alle parole e riesce a unificare le tre donne, rapendole e mostrando loro che una possibilità esiste. Possibilità che non viene intuita e che purtroppo, qui il messaggio pessimistico del film, nulla cambia e tutto rimane sempre uguale, con le sirene delle ambulanze spiegate e l'esercito in movimento, la ragazza americana che scappa lontano verso un orizzonte distante e le due donne, la palestinese e l'israeliana, condannate a discutere all'infinito, proprio come ne "La Fiera dell'Est" che tristemente si ode in sottofondo.


Il film è veramente bello e si capisce nonostante le parti in ebraico ed arabo fossero sottotitolate in ebraico e basta nel divx che ho visto e non essendo ancora pratico di siffatti linguaggi non ho potuto comprendere una parola. Una visione la mia che, casualmente, abbraccia ancor di più il un significato del film.

Milano, oggi pomeriggio.

Se l'obbiettivo, giusto, è quello di due popoli in due stati sovrani e democratici come auspica il cartello qui sotto...


... bisogna che qualcuno spieghi a questi manifestanti che il territorio in basso a sinistra che s'intravede sul manifesto è Israele, non la Palestina (allargata).


Questa foto la trovo inquietante. Qualcuno sa dirmi il motivo?

Kaiser Chiefs, Magazzini Generali, Milano, 16/11/06

Ci sarebbe da fare un discorso sul pubblico di merda, ripeto DI MERDA, presente ieri sera a Milano. Ci sarebbe da fare anche un discorso sul fatto che io vado ai concerti per ascoltare buona musica (si spera) dal vivo. Ci sarebbe da fare un discorso sulle nuove generazioni che si recano ai concerti con l'unico scopo di pogare e menarsi liberamente. Ma parliamo del concerto.
I Kaiser Chiefs suonano ai Magazzini Generali l'unica data italiana del mini tour di presentazione del nuovo album e infatti durante la serata ci deliziano con qualche nuova canzone. Il punto è, per non dire il problema, nonostante abbiamo ben due lp da suonare lo show dura soltanto un ora, la stessa lunghezza di quello dell'anno scorso a Roma ma con un unico cd. Quindi un pò di scazzo l'ha portato.
Nel complesso perà serata divertente. Loro scatenati sul palco, sebbene meno rispetto al 2005, ancora ironici, soprattutto il sempre più grasso Ricky Wilson, di nuovo in stage diving in mezzo alla folla. E' stato un buon concerto ma sinceramente speravo in qualcosa di più. Probabilmente a causa del pubblico, dell'unica ora suonata e del viaggio fino a Milano.

Scaletta:


Ruby, new song:




Lost In Versailles.

Non ho resistito all'impellente bisogno di vedere il nuovo film di Sofia Coppola prima dell'uscita italiana.
Il divx inglese faceva abbastanza schifo come qualità, pessimo soprattutto l'audio, le immagini a volte erano sfuocate ma è stato sufficiente per sopperire alla mia curiosità verso questo film.
Marie Antoinette l'ho trovato bello, molto punk, sebbene scenografie e costumi siano classicissimi. Ciò che racconta non è una storia ma la Storia, quella mai raccontata probabilmente, la vita di corte tutta incentrata su pettegolezzi, stupide regole ("This is ridiculous" dice Antonietta, "This is Versailles" si sente rispondere), malelingue e insistite lettere della madre, regina d'Austria, che esortano la Delfina a partorire un erede maschio che solidifichi l'unione tra le due nazioni. Marie Antoinette racconta tutto ciò che nei libri di scuola non c'è, la vita di corte di una ragazzina che si ritrova in un mondo che stenta a capire all'inizio e del quale, poi, diventa la regina, seguendo le sue passioni di adolescente e donna.
La protagonista e le atmosfere ricordano quelle di Lost In Traslation, anche grazie al divino Lance Acord, direttore della fotografia di entrambi i film, al quale, credo, la Coppola dovrebbe fare un monumento perché molto merito del fascino che hanno i suoi due ultimi lungometraggi deve essere riconosciuto proprio all'uomo dietro la macchina da presa. I grattacieli e la strettezza metropolitana di Tokio sono sostituiti dagli immensi spazi vuoti e bucolici della reggia di Versailles. Il tempo passa, lentamente tra i meandri del palazzo. La Coppola ci racconta una storia piccola, quasi inesistente, momenti di vita vissuta. Ed è bello per questo. Ciò che ancor di più mi fa sorridere, amaro, è che un film del genere, così come i due capolavori precedenti, in Italia non sarebbe mai stato prodotto. E non solo a causa di un budget spropositato per trucco e parrucco ma, prima di ogni altra cosa, proprio per l' inutilità della Storia. Sì, proprio con la S maiuscola.

PS: Venerdì tocca andarselo a vedere a modo.

PS#2: Amo la mascherina che indossa Kirsten Dunst nella foto.

Your Favourite New Band: The Horrors.


Se gironzolando per la rete Chris Cunningham, uno dei più importanti registi di video musicali viventi, decide che il suo primo video dopo anni d'inattività sarà quello della vostra canzone ascoltata sulla vostra pagina di myspace, beh, evidentemente siete dei predestinati.


Sheena Is A Parasite by Chris Cunningham

E The Horrors sono dei predestinati a diventare una band che spacca. Hanno il look, molto dark ma anche molto glam, hanno una schiera di adolescenti che fanno la fila per riempire i locali dove suonano, hanno la personalità e la presenza delle rockstar ma soprattutto hanno quel sound garage-punk-surf-dark-noise e quel modo di suonare, a volte scrauso, che fa impazzire il pubblico ai concerti.


Che dire? Non si possono che amare!


Sheena Is A Parasite live @ Electric Proms


2006: Return Of The Donkey!


Ci hanno messo sei anni ma alla fine hanno potato il Cespuglio!

It took six years but at last they pruned the Bush!

Jarvis - Jarvis.

Una sola parola: CAPOLAVORO.

Bentornato Jarvis! Si sentiva la tua mancanza sulla scena musicale. Lunga vita a Jarvis Cocker! Che bel disco! Dall'inizio alla fine, nessuna eccezione, compresa la traccia nascosta. Si passa dalle lente ballate, alle canzoni pop, a pezzi rock veloci come niente fosse, tutti mixati meravigliosamente tra di loro! Un grandissimo ritorno per il leader di una delle band fondamentali degli anni '90 britannici, Pulp. Qui ci siamo assicurati la Top 10 dei migliori dischi di quest'anno.

In uscita lunedì 13.

Skin, Vox Club, Nonantola, 04/11/2006

Lo dichiariamo subito così la facciamo finita: sulla versione acustica di Hedonism (Just Because You Think) sono scese le lacrime. Chiaro sintomo di quanto sia stato un concerto emotivo. E' incredibile ciò che quella donna riesce a fare con la sua persona, non solo con la sua splendida e toccante voce che Dio le ha donato ma anche con il suo fisico, le sue movenze e le sue infinite espressioni facciali che riesce a cambiare in un lampo. Skin non è un essere umano. Non può esserlo. Al suo interno racchiude uno spettro troppo vasto per essere una creatura di questo mondo: è capace di cantare rabbiosa, piena di livore e cattiva, assumendo espressioni spaventose che la portano ad assomigliare alle statue dei Gargoyle nelle cattedrali cristiane, figure archetipiche, mitiche, e il momento successivo, così senza una motivazione specifica, trasformarsi in una bimba di cinque anni che, timidamente, quasi arrossendo, si rinchiude a riccio, sorridendo teneramente per nascondere l'imbarazzo che l'ha colpita all'improvviso.
La cantante inglese suona, assieme a una band di due chitarristi, un bassista e un batterista, l'ultima data del tour di Fake Chemical State, molti pezzi dai suoi due album da solista, in particolare, naturalmente, dall'ultimo, facendo ascoltare al pubblico tutti i singoli tra cui, a parere mio Alone In My Room è nettamente il migliore con la sua carica adrenalinica. Si balla molto anzi si salta molto un pò come lei che, già come sei anni fa al concerto degli Skunk Anansie, si muove dotata della grazia di un felino per tutto il palco, non troppo ampio, del Vox. Parla molto con il pubblico, si avvicina, lo tocca. Per certi versi il concerto è un esperienza erotica, un pò come le sue canzoni: c'è la ricerca di un contatto fisico con chi sta dall'altra parte delle transenne, un contatto non cercato solo con la musica ma anche, appunto, con il corpo. Lei si sporge, si fa toccare, tocca chi si trova nelle prime file, saluta quelli appostati in piccionaia, durante le canzoni salta addosso ai chitarristi o al bassista, strusciandosi con loro, quasi scambiando effusioni. E' un esperienza orgasmisca vera e propria. E tutto questo le piace.
L'apice della serata si raggiunge quando suona i brani degli Skunk Anansie: prima You'll Follow Me Down, poi una versione molto tronfia di Charlie Big Potatoe, la già citata Hedonism (Just Because You Think) acustica e, infine, chiude il concerto con Twisted (Everyday Hurts). Il pubblico canta a squarciagola incitato da lei e dalla band, non i soliti anonimi musicisti di accompagnamento ma degli altri animali da palcoscenico, soprattutto il chitarrista vestito di bianco, entrati all'inizio sul palco sulle note dello Skywalker Theme di Star Wars (e già lì uno poteva capire che lo show sarebbe stato fantastico).

Per la cronaca, Green Lizard, da Amsterdam, hanno aperto la serata. Una hard-rock band in generale non male, soprattutto le ultime canzoni suonate, soprattutto non apprenzzando io al meglio il loro tipo di musica, quell'hard rock che viene spesso da oltre l'Atlantico, che trovo spesso molto simile a sé stesso. Comunque, grazie per il tributo ai Nirvana! Cheers!

Ultima chicca. Una nuova canzone di Skin! L'audio non è dei migliori, purtroppo, le casse gracchiavano e la camera era una macchina fotografica!

The Great Danger sono piccoli ma suonano divinamente. Batteria, basso, chitarra e potente voce femminile che crea un rock-punk abbastanza melodico. 20 minuti di puro divertimento. E' bello poi vedere bassista e chitarrista buttarsi in mezzo alla folla dopo il loro show con l'intento di vendere il loro cd a 5 € (anche se, a dirla tutta, si avvicinavano solo alle ragazze! Sicuramente c'erano secondi fini... Beati loro!).
Nat Jenkins, qui accompagnato dai The Delmar Dogs, è un giovane, anche lui, cantautore di Brighton (come il gruppo precedente) che suona un rock melodico e potente molto stile anni '50 americano. Sembrerà una bestemmia ma la persona a cui l'ho immediatamente associato non appena ha iniziato il suo show è stato Elvis, The King. Set divertente, lui ha una voce potente e bellissima, capace di cantare qualsiasi cosa. Anche per lui 20 minuti abbondanti di presenza sul palco.
Poi The Kooks che, ahimé, sono stati il più brutto concerto a cui ho mai preso parte. Ora c'è da dire che l'album non prometteva niente di che. Alcune canzone sono carine ma si è sentito di meglio quest'anno. E poi il genere di musica che fanno un pop-rock melodico (e a volte melenso, troppo) non è proprio il genere di musica che ultimamente ascolto e apprezzo di più. Comunque, preso dalla mania per tutto ciò che viene dall'Inghilterra, ci sono andato e, se ci fossero stati solo loro, il prezzo del biglietto sarebbe stato troppo elevato per 50 minuti di show comprensivi di mini-break. Il pensiero che mi è apparso tra le sinapsi è di essermi andato a cacciare in un concerto di una boyband mascherata da rock band. Intendiamoci non suonano male, anzi, tecnicamente sono bravi ma a livello compositivo non sono Pete Doherty. Ma neanche The Horrors o Klaxons per dire due gruppi emersi da poco. Ok, non suonano nemmeno la stessa musica ma se uno ha un'idea sua riguardo la composizione della musica si nota, qualsiasi genere si ascolti. The Kooks sono una classica band da pubblicità. Bellocci, faccia pulita, pop-rock melodico. Le hanno tutte per piacere alle ragazze. Infatti il Nuovo Estragon era piena di fighe (leggasi la sineddoche) ululanti al quartetto. Sinceramente speravo che il live suonasse meglio dell'album ma mi sbagliavo. Comunque la maglietta l'ho presa lo stesso.
E stasera Skin al Vox. L'aspettativa è enorme. Non la vedo dal 2000 al Palasport di Modena quando suonava con gli Skunk Anansie. Si spera che suoni anche diversi pezzi della band, sennò sarebbe un peccato.

Qualche foto (che questa volta sono riuscito a farne anche poche perché l'illuminazione dello spettacolo, soprattutto quello degli headliner era pessima):

The Great Danger
(il chitarrista indossava la maglietta del tour Soviet Kitsch di Regina Spektor, un mito!)


Nat Jenkins


The Kooks

"N" è sicuramente il film più ambizioso della coppia Virzì-Bruni. E si vede. A quanto pare gli sforzi sono stati premiati. Avevo avuto la fortuna di leggere la sceneggiatura molti mesi fa, quando le riprese erano da poco ultimate o erano in via di esserlo, perché Francesco (Bruni) è il tutor del mio corso e devo dire che quest'ultima e il prodotto finale combaciano perfettamente. La storia è semplice: Napoleone sbarca in esilio all'Elba dove viene accolto come il re dell'isola dagli isolani, decisione che manda ancora di più su tutte le furie Martino, giovane maestro elementare che sogna di uccidere il tiranno, ma, quando, assunto come biografo personale dell'imperatore, ne ha la possibilità non ci riesce, rimanendo ammaliato dalla sua figura.
A leggerla in maniera superficiale, guardando solo la storia ci troviamo di fronte a una pura commedia di Virzì, con tanto di voce fuori campo, ormai simbolo indiscusso della coppia sceneggiatore-regista, con un finale decisamente amaro e a presa per il culo.
Se invece analizziamo un pochino più a fondo, ma neanche troppo, scopriamo che Virzì porta sulla scena i giorni nostri in una bellissima Porto Ferraio di inizio '800, ricostruita magnificamente nei pressi di Piombino. Napoleone è Berlusconi? Probabilmente sì, viene facile immaginarselo perché se la storia raccontata dovessimo narrarla oggi chi meglio del Cavaliere potrebbe prendere il posto dell'Imperatore. Ma la cosa più azzeccata del film non è la similitudine N = B ma la riflessione, cinica, sulla nostra società, dove nessuno, neanche il protagonista che raccoglie comunque le nostre simpatie, viene risparmiato. L'allegoria virziniana ha permesso al film di svolgere questa funzione di racconto dell'Italia del 2006 meglio del Caimano di Moretti, opera smaccatamente nata con quell'intento, grazie anche, soprattutto, alle taglienti e ottimamente calibrate battute scritte da Furio Scarpelli nella sua revisione della sceneggiatura. Un film che ha un pò il sapore, forse proprio grazie al "vecchio maestro", di una certa commedia all'italiana degli anni '60 che oggi non riusciamo più a fare in questi termini.
Ammirevole anche l'esborso finanziario di Medusa e Cattleya per organizzare il film che dovrebbe essere costato sugli 8 milioni di €, cifre solitamente impensabili per il nostro cinema. A dimostrazione comunque che, se i film sono ben fatti, quei numeri si possono, anzi, si dovrebbero spendere.

The Good, The Bad & The Queen - Herculean.

Da quanto pare Damon Albarn ormai riesce solo a comporre canzoni nel barocco stile "Demon Days", secondo album di Gorillaz. "Herculean", primo singolo di The Good, The Bad & The Queen (sebbene Damon stesso abbia smentito che il gruppo formato da lui, Paul Simonon, già bassista di The Clash, Simon Thong, chitarrista ex-The Verve e Tony Allen non abbia un nome e che quell'epiteto sia solo il titolo dell'album in uscita l'8 Gennaio, staremo a vedere) suonerebbe benissimo nel secondo lavoro del gruppo di cartoni animati uscito l'anno scorso. D'altronde il compositore è lo stesso, il batterista pure così come la produzione di Danger Mouse.
Giudicare da un singolo è impossibile ma se il disco suonasse veramente sulle stesse corde, se sulla copertina ci si potesse stampare il nome Gorillaz, per quale motivo, mi chiedo, il signor Albarn non ha continuato a firmare il suo lavoro con quel nome, perché creare un nuovo "gruppo". Certo è che, nonostante Damon affermi che si tratta del disco più simile a Parklife per come si trovi dentro il vissuto inglese, le atmosfere di Blur, anche le ultime, quelle di Think Tank, quando in tour Thong faceva da stand-in per l'insostituibile Graham Coxon, soprattutto quelle messe assieme da Stephen Street sono lontane anni luce.
Dobbiamo rimpiangerle? No, i tempi cambiano, non ripetersi è giusto, il singolo è buono ma l'EP tutto punk-rockeggiante di cui si parlava per quest'anno a firma Blur non si è visto e non si vedrà. Questo sì, purtroppo.
Quando è notte, sei in macchina e la tua mente pensa a Regina Spektor mentre la mano fa zapping tra le onde lunghe se, improvvisamente, dalle frequenze di RTL 102.5 appare la voce e la musica della persona a cui stavi pensando il tuo unico commento non può essere che: "Oh cazzo! Hanno rovinato pure lei!".

Sia chiaro mi fa piacere da un lato che Regina riscuota successo, anche perché "Begin To Hope" è uno dei migliori dischi usciti quest'anno (di cui non ho mai trovato il tempo per scriverne una recensione) e i suoi album passati sono tutti dei piccoli capolavori ma ciò può significare solo una cosa: exploitation. Ovvero, come sono belle le cose se nascono, e rimangono, di nicchia. Quanto è odioso quando "il mondo" si accaparra ciò che è tuo e di altri pochi eletti.

Peccato. L'unico risvolto positivo consiste nella sua probabilmente sortita verso questi lidi. Allora la si andrà a vedere.

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