Idea nata durante la visione di un film di Godard.
venerdì 23 marzo 2007 by VAN
"Nel nostro atteggiamento verso la guerra, che, da parte della Russia, anche sotto il nuovo governo di Lvov e soci, rimane incontestabilmente una guerra imperialistica di brigantaggio, in forza del carattere capitalistico di questo governo, non è ammissibile la benché minima concessione al "difensismo rivoluzionario".
Il proletariato cosciente può dare il suo consenso ad una guerra rivoluzionaria che giustifichi realmente il difensismo rivoluzionario solo alle seguenti condizioni: a) passaggio del potere al proletariato e agli strati più poveri dei contadini che si schierano dalla sua parte; b) rinuncia effettiva, e non verbale, a qualsiasi annessione; c) rottura completa ed effettiva con tutti gli interessi del capitale."
C'è da dire, però, che questo atteggiamento opportunistico purtroppo si ritrova pienamente in certa sinistra italiana odierna che, evidentemente, non ha imparato dagli errori del passato quando come Paolo Cento (Verdi, ma soprattutto pacifisti) ha dichiarato pochi giorni fa:
"I talebani hanno gestito politicamente la vicenda (della liberazione di Mastrogiacomo - N.d.R.) e la decapitazione dell'autista afgano fa parte di uno scenario di guerra".
Mi sembra assai opportunistico definire "entità politica" i talebani. Così come mi sembra scorretto riferirsi alla morte di un essere umano etichettandola, con un atteggiamento snobbistico e superiore, come parte di uno scenario di guerra. Non si può, opportunisticamente, dare valenza politica a chi, barbaramente, sgozza la gola a una persona, a meno che, e qui siamo in ottica comunista-leninista, coloro i quali commettano tale deprecabile atto non stiano combattendo una guerra giusta, antimperialista, o, per dirla con le parole del filosofo-politico russo, non sussistano le condizioni di "passaggio del potere al proletariato agli strati più poveri dei contadini che si schierano dalla sua parte [...] rinuncia effettiva, e non verbale, a qualsiasi annessione [...] rottura completa ed effettiva con tutti gli interessi del capitale".
D'altra parte, volendo estremizzare il discorso e fare un paragone forzato, contadini e proletariato altro non potrebbero essere che i coltivatori di oppio afgani protetti dai talebani, la rinuncia all'annessione non sussisterebbe, semmai si tratterebbe di lotta di liberazione contro naturalmente, e siamo al terzo punto dello scritto di Lenin, gli interessi del capitale, ovvero gli occidentali presenti sul territorio come forza, in teoria, pacificatrice, ma praticamente come esercito di occupazione dedito a una colonizzazione neoimperialista avvallata dalle Nazioni Unite.
Naturalmente il paragone è stiracchiato e trova il tempo che trova, non credendo affatto che Cento avesse in mente nessuno scritto di Lenin in particolare o qualsiasi riferimente "alto". Però è innegabile il fatto come oggi, in una certa sinistra, la tentazione di dividere le guerre in due, mai esplicitamente s'intende, o, meglio, di pensare che le guerre si possano osservare da due lati uno negativo, solitamente connesso con l'occidente, come sintomo di una volontà imperialistica ed egemona e uno positivo, legato al terzomondismo, come resistenza o ribellione a un'oppressione che spesso tale non è, è assolutamente presente.
Si nota, nel pacifismo nostrano, una condanna a parole di tutte le guerre, di qualunque matrice essa siano, ma, furbescamente, pensando di non essere visto, come un bambino che crede di averla fatta franca al proprio genitore che non lo rimprovera per il gesto improbo che ha commesso a causa di una, tutta nostrana, propensione al perdono troppo accentuata in coloro che dovrebbero essere deputati al "controllo", la quale ha la sola capacità di creare un atteggiamento doppiamente sbagliato, ancora più grave del gesto meritevole di rimprovero e altamente diseducativo, il pacifismo nostrano strizza l'occhio, sottobanco, a coloro che giudica "combattenti per la libertà", cercando, e/o credendo, di non essere visto dagli altri, rendendo questa sua ambiguità e ambivalenza, credo, un vanto sotterraneo e segreto di coloro che la praticano ma che, in realtà, negli uomini con un pò di attenzione e con un qualche pensiero libero che ruzzola ancora nella testa, i quali si sono accorti di questo puerile giochino, non può che indurre sbigottimento e sdegno di fronte a tale squallido e imbecille atteggiamento.
Ritornando alla domanda originaria, scaturita dalla visione di "Masculin, Feminin" di Godard (che non è neanche uno dei suoi film del "periodo maoista"), non posso certo dire che Paolo Cento sia un comunista o abbia mai creduto nella lotta di classe e nella guerra del proletariato visto il suo impegno politico giovanile nei cattolici e nell'Agesci ma certamente, da qualche anno a questa parte, i Verdi hanno assunto tutte le connotazioni più "estreme" della sinistra radicale (meglio definirla comunista, come bene ha fatto notare Marco Cappato, visto che i radicali in Italia sono altri e hanno ben altro pensiero riguardo questi temi) e si sono fatti attecchire, come una pianta, dalle sue idee, che si potrebbero appellare "populiste", tanto da non riuscire ad anteporre quasi più alcuna differenza fra i tre partiti di quel settore laterale dell'emiciclo parlamentare che non sia soltanto denominativa e oculistica, riferita al colore del simbolo sulla scheda elettorale. Per questo trovo giusto far rientrare il pacifismo di Cento all'interno della visione marcista su cui ragione la domanda iniziale:
Come è possibile che qualcuno che abbia professato o professi la lotta di classe e la guerra del proletariato si possa dichiarare pacifista?
Se qualcuno può darmi una risposta esaustiva si faccia avanti.
PS: la spiegazione più logica forse è un altra. I boyscout (l'Agesci - N.d.R.) fanno male.