Stamattina terza lezione con Monteleone. La solita aria di febbricitante ottimismo che si può riassumere nella ormai arci-ascoltata frase: "o conoscete qualcuno, o siete parenti di qualcuno, sennò scordatevi cinema e tv in Italia".
Però Enzo esplica una teoria, giusta, sulla quale avevo già riflettuto e iniziato a lavorarci già da quest'estate: "se vuoi fare un film, pubblica un libro". Sembra una scemenza ma analizzando la realtà si arriva alla conclusione, amara, che i produttori italiani le sceneggiature, un centinaio di fogli rilegati assieme alla bene e meglio con una copertina lucida e un retro in cartoncino di colori differenti l'uno dall'altro, non le aprono neanche, vengono appoggiate, solitamente dalle segretarie, in un angolo a prendere polvere fino a che qualcuno, spazientito, non le fa arrivare al più vicino cassonetto. Inoltre, oggi, onde evitare anche il faticoso viaggio verso i bidoni, ti chiedono di spedire tutto via mail così da non aprire il file e cestinarlo immediatamente, anche perché, in Italia, non è prassi rispondere alle persone ma la normalità consiste nel non farsi più risentire facendo cadere tutto nel dimenticatoio.
Però qualcosa che possa scalfire questo meccanismo esiste ed è il libro. Sebbene molti di essi siano di quanto meno cinematografico ci possa essere, i produttori se si vedono recapitare un libro gratuitamente, forse attratti dalla copertina colorata e la foto dello scrittore, lo sfogliano e sono capaci di leggerlo, magari in vacanza o prima di dormire. Questo probabilmente la dice lunga sulla loro considerazione che hanno per lo sceneggiatore e la sceneggiatura se per trovare idee buone secondo loro si debba ricorrere alla trasposizione dai romanzi. In America lo fanno da sempre, in Italia invece il fenomeno sta sbocciando soprattutto negli ultimi anni. Vedi ad esempio le produzioni Cattleya, ormai specializzate in ciò. Le case editrici poi, anche le più piccole e infime, sono ovunque sul territorio e pubblicano ormai ogni cosa. D'accordo la maggiorparte non sono Feltrinelli o Mondadori ma un libro agli occhi di un produttore cinematografico è sempre un libro, indipendentemente da chi l'abbia mandato in stampa. Anzi, forse è meglio che i diritti siano di proprietà di una casa piccola così all'atto della compravendita di quelli filmici può anche risparmiare.
Interessante è poi il caso di Ammaniti che avendo un contratto con Feltrinelli per un libro e non avendo una minima idea di cosa scrivere, per rispettare la scadenza, ha spedito alla casa editrice una sceneggiatura che aveva scritto per un suo sognato ed eventuale esordio alla regia. Quest'ultima, letto il copione, grazie al lavoro di uno dei loro editor ha pubblicato un libro nato dal manoscritto cinematografico consegnatoli dall'autore. Il titolo? "Io non ho paura".

PS: Spiegato l'arcano perché sui titoli finali del film viene riportato prima il nome di Ammaniti e poi quello di Salvatores. L'autore cinematografico è veramente il primo (almeno nella sua parte di scrittura).

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