Un pianto libero alla Fiera dell'Est.
martedì 21 novembre 2006 by VAN
I quasi nove minuti ininterrotti di pianto di Natalie Portman accompagnati in sottofondo dalla versione in ebraico de "La Fiera dell'Est" sono l'inizio di Free Zone ma potrebbero esserne anche la fine visto la capacità di Amos Gitai a raccontare il fulcro della sua storia in un unico pianosequenza.
Tre donne: un'americana, un'israeliana e una palestinese che vive in Giordania riassumono, attraverso il loro viaggio, il passato, il presente e il futuro di una terra che non riesce ad essere libera, ma schiava di un conflitto che come la sequenza finale magistralmemte ci dice continua all'infinito.
Una situazione di guerra perenne è raccontata attraverso tre donne senza mai però vedere il conflitto, solo la vita degli abitanti di quelle terre.
Gitai fa un film che si basa sulla parola. L'inglese, l'ebraico, l'arabo, lo spagnolo sono le lingue che si intrecciano nel film. Sono le lingue parlate in quella terra, sono lingue diverse che inevitabilmente portano all'incomprensione tra le persone. Tutti le parlano un poco ma le parlano male. E la mancanza di una base comune, condivisa, provoca lo scontro. Questo è anche il pensiero di Grossman il quale, in un'intervista, ha dichiarato come lui stia lavorando da mesi per trovare le radici comuni delle parole arabo-ebraiche per fare sì che, finalmente, le persone, soprattutto i negoziatori di pace, abbiano un lessico condiviso che gli accomuni e non li divida.
Free Zone fa intravedere questa possibilità di dialogo, in una scena dove la musica, un linguaggio codificato, uguale per chiunque, comune, si sostituisce alle parole e riesce a unificare le tre donne, rapendole e mostrando loro che una possibilità esiste. Possibilità che non viene intuita e che purtroppo, qui il messaggio pessimistico del film, nulla cambia e tutto rimane sempre uguale, con le sirene delle ambulanze spiegate e l'esercito in movimento, la ragazza americana che scappa lontano verso un orizzonte distante e le due donne, la palestinese e l'israeliana, condannate a discutere all'infinito, proprio come ne "La Fiera dell'Est" che tristemente si ode in sottofondo.
Il film è veramente bello e si capisce nonostante le parti in ebraico ed arabo fossero sottotitolate in ebraico e basta nel divx che ho visto e non essendo ancora pratico di siffatti linguaggi non ho potuto comprendere una parola. Una visione la mia che, casualmente, abbraccia ancor di più il un significato del film.
Tre donne: un'americana, un'israeliana e una palestinese che vive in Giordania riassumono, attraverso il loro viaggio, il passato, il presente e il futuro di una terra che non riesce ad essere libera, ma schiava di un conflitto che come la sequenza finale magistralmemte ci dice continua all'infinito.
Una situazione di guerra perenne è raccontata attraverso tre donne senza mai però vedere il conflitto, solo la vita degli abitanti di quelle terre.
Gitai fa un film che si basa sulla parola. L'inglese, l'ebraico, l'arabo, lo spagnolo sono le lingue che si intrecciano nel film. Sono le lingue parlate in quella terra, sono lingue diverse che inevitabilmente portano all'incomprensione tra le persone. Tutti le parlano un poco ma le parlano male. E la mancanza di una base comune, condivisa, provoca lo scontro. Questo è anche il pensiero di Grossman il quale, in un'intervista, ha dichiarato come lui stia lavorando da mesi per trovare le radici comuni delle parole arabo-ebraiche per fare sì che, finalmente, le persone, soprattutto i negoziatori di pace, abbiano un lessico condiviso che gli accomuni e non li divida.
Free Zone fa intravedere questa possibilità di dialogo, in una scena dove la musica, un linguaggio codificato, uguale per chiunque, comune, si sostituisce alle parole e riesce a unificare le tre donne, rapendole e mostrando loro che una possibilità esiste. Possibilità che non viene intuita e che purtroppo, qui il messaggio pessimistico del film, nulla cambia e tutto rimane sempre uguale, con le sirene delle ambulanze spiegate e l'esercito in movimento, la ragazza americana che scappa lontano verso un orizzonte distante e le due donne, la palestinese e l'israeliana, condannate a discutere all'infinito, proprio come ne "La Fiera dell'Est" che tristemente si ode in sottofondo.
Il film è veramente bello e si capisce nonostante le parti in ebraico ed arabo fossero sottotitolate in ebraico e basta nel divx che ho visto e non essendo ancora pratico di siffatti linguaggi non ho potuto comprendere una parola. Una visione la mia che, casualmente, abbraccia ancor di più il un significato del film.