Le incrinazioni della piastrella #1
martedì 13 dicembre 2005 by VAN
Ho sempre pensato che Sassuolo fosse un paese strano. Probabilmente lo è. Oppure sono io che non riesco a non pensarlo. E' un paese piccolo. Chiamarlo città, come geograficamente e politicamente viene considerato, mi sembra assai eccessivo. Eppure per qualcuno è una metropoli, dove si trova tutto il necessario per una vita serena e tranquilla. Ora toccherebbe considerare cosa si intende per vita serena e tranquilla. Il problema di questo paese è essere una via di mezzo. Non è più troppo piccolo e non è ancora (e molto probabilmente non lo sarà mai) troppo grande. Si trova nel mezzo. Qualcuno direbbe il giusto mezzo, qualcun'altro potrebbe pensare che ciò equivalga a una mancanza d'identità. Un paese ignavo. Probabilmente ciò non è altro che la dannazione e, al tempo stesso, l'atteggiamento di quel tipo di società medio provinciale che si sogna grande ma che non riesce ad esserlo e per questo, sentendosi intimamente ed inconsciamente frustrata, non riesce ad esprimersi, non riconoscendosi più nei valori della piccola comunità e neanche comprendendo l'eccentricità, la freschezza di idee, di movimento, di passione che sono propri di una grande città. Tutto questo porta a fenomeni strani, propri della media provincia, non solo della mia città natale. Credo, però, che qui, nella patria della piastrella, in uno dei territori più ricchi al mondo, proprio questo benessere, proprio questo divario di reddito (senza voler fare un discorso politico o post-comunista che non avrebbe senso) abbia aggravato l’inconscia frustrazione dei suoi abitanti. In che modo? Con il più antico e vecchio sistema di controllo della società: le caste. Forse è un discorso che può suonare vetusto, impolverato ma, credo, dimostri come da un certo punto in poi, da una certa generazione in poi, sia nato questo sentimento negli abitanti e come questo non riesca più ad abbandonarli. Un sistema a caste porta naturalmente alla frustrazione. E alla lunga alla rivolta del sistema stesso. In un sistema a caste dove la frustrazione genera invidia è bello notare come vi sia un odio (che ritengo essere il più puro dei sentimenti umani: prima che amare un consimile ci viene più naturale odiare chi è diverso da noi, si spreca meno fatica, è più facile e ci si mette meno in gioco) che serpeggia lentamente in sottofondo. Non è un odio fisico, manesco, non ancora, è un odio che nasce dalla frustrazione di essere quello che non si è. E’ un odio che nasce quando qualcuno di consimile pare essere riuscito a emergere o a cambiare di casta (senza che poi effettivamente ci sia riuscito perché è l’apparenza quella che conta). E’ un odio che genera menti che si credono all’apice senza poi aver fatto nulla per essere veramente lì, alla sommità. E’ una fama effimera, è una fama di media provincia. E’ una fama che fa arrabbiare perché è una fama che non conta. Conta solo per il mondo autoreferenziale del grande paese, conta per sé stesso. In uno Stato dove il diventare famosi senza avere qualità specifiche pare sia diventato lo sport nazionale e l’unico modo per vivere felici, questo sentimento, miscelato alla frustrazione di una perdita d’identità è molto pericoloso per la sanità mentale di chi abita nell’ignava media provincia.
Poi c’è anche chi queste cose non le vede e vive serenamente. Ma sono affari suoi.
Poi c’è anche chi queste cose non le vede e vive serenamente. Ma sono affari suoi.